Ma è proprio vero che ci infastidisce degli altri ciò che in realtà appartiene a noi stessi?
Con le cautele sempre dovute quando si usano parole e concetti astratti, direi che in linea di massima la risposta è sì. Sì, perché lo vedo nelle persone, anche se costoro spesso non ne sono consapevoli. Sì, perché lo sperimento di continuo con me stessa. L'argomento non è semplice, ma ho promesso che ne avrei parlato.
Ogni volta che qualcuno mi infastidisce per il suo comportamento, io faccio così: mi metto a cercare un personaggio simile dentro di me (anche e soprattutto se sul momento sento che, con quel disgraziato, io non ho proprio nulla in comune)!
In pratica: se mi infastidisce l'arroganza di una persona, comincio a cercare dentro di me un personaggio arrogante. Se a infastidirmi è qualcuno che è invadente, cerco dentro di me quella stessa peculiarità. Se invece mi irrita qualcuno per il suo comportamento abbandonico, mi metto alla ricerca di quella me che ha l'energia dell'abbandono. E così via.
Certo, non sempre è facile: a volte è ben mimetizzato dietro maschere dalla valenza opposta, oppure sotto una coltre di pensieri ricorsivi, quelli che cercano il perché di ogni emozione e lo cercano nel passato e all'esterno... ma ogni volta lo trovo, eccome se lo trovo. Il "personaggio" si era solo messo in un angolino stretto e buio della coscienza, ma era lì, in piena azione, a mia insaputa poiché lo avevo rinnegato.
La vita è davvero buffa nei suoi meccanismi. Quando non vogliamo vedere qualcosa, ce lo ripropone in mille salse... Io non credo alla sfiga, agli incidenti che si assomigliano, agli abbandoni che si ripetono, ai nemici che si piazzano sempre allo stesso modo sul nostro cammino, come se non avessero di meglio da fare. Credo piuttosto che ci vengono offerte continue possibilità per perdonare i personaggi che abbiamo dentro, ma che noi "proiettiamo" fuori.
Se qualcosa di noi non ci piace, non ci piacerà neanche negli altri. Ma degli altri ci accorgiamo spesso, di noi stessi un po' meno. Ecco, fa così la proiezione.
Possiamo continuare a raccontarcela e trovare centinaia di spiegazioni razionali sul perché qualcuno "meriti" il nostro giudizio e il nostro disprezzo, e dirci che noi non siamo come lui né faremo mai quello che lui fa. Oppure possiamo cogliere l'occasione del "fastidio" che quel qualcuno ci suscita e metterci alla ricerca di quello stesso personaggio - di quella energia, di quella qualità... arrogante, superficiale, manipolatoria, seduttiva, testarda, ecc... - dentro noi stessi, lì da qualche parte nell'inaspettato e assai vasto mondo interiore.
Per "fastidio" non intendo delusione, tristezza, amarezza... ma intendo proprio quella sensazione di irritazione e intolleranza che si attiva quando qualcuno si comporta "male" con noi o davanti ai nostri occhi, e che muove spesso un certo rimuginio o chiacchiericcio della mente che ripete "lui... lui... lui...", puntando il dito.
Se ricerchiamo con onestà, a un certo punto scorgeremo, anche solo per un breve istante, ma non senza sconcerto, che colui che giudichiamo si trova al nostro interno.
E quando ci vediamo, quando intravediamo un nostro lato oscuro, non possiamo più raccontarcela: non siamo "perfetti" o "buoni" come credevamo... non siamo immuni da certi pensieri, da certa rabbia, da certa manipolazione.
Forse che, allora, siamo in realtà orribili? Non proprio; il punto è che in qualche modo, in un tempo che fu, abbiamo giudicato come orribili certe parti di noi - certe energie - e quindi le abbiamo soffocate, rinnegate, e rinnegandole abbiamo creato delle frammentazioni nel nostro essere...
Accorgendoci di queste parti, smettendo di giudicarle e di reprimerle, e accettandole con giocosa compassione, scopriremo che in fondo non è male essere nella verità di se stessi e che questo libera nuova, creativa energia... Scopriremo che gli altri possono smettere di irritarci e di consumare la nostra attenzione... Scopriremo che nuovi alleati possono manifestarsi, perché è così che accade: le alleanze interiori evocano sempre, per risonanza, quelle esteriori.
Liberare dal giudizio le nostre "parti ombra", e accoglierle con coraggio e visione, ci libera dalla necessità di avere ragione, dalla sofferenza per le ingiustizie subite, dal dolore provato per non essere stati visti... Ci aiuta a lasciar andare, a perdonare, tutto quel che è stato.
Quando non giudichiamo più ciò che reputiamo oscuro e sbagliato in noi, automaticamente non lo giudicheremo negli altri. E non giudicandolo, non ne saremo più infastiditi.
Significa allora che impareremo ad amare tutto e tutti? Io direi che significa piuttosto che ameremo un po' di più, a partire da noi stessi. E mi pare già una gran cosa. Significa che sceglieremo più attentamente i luoghi dove mettere radici e quelli da abbandonare senza indugio, quelli per cui combattere e quelli per cui mollare la presa. Significa che faremo scelte più sane, mettendole al centro della nostra attenzione. Significa che ogni ostacolo ci parlerà non solo di frustrazioni, ma anche di occasioni. Significa che ombre e luci saranno da noi accolte in modo più saggio... e che sapremo danzare con entrambe.
Con le cautele sempre dovute quando si usano parole e concetti astratti, direi che in linea di massima la risposta è sì. Sì, perché lo vedo nelle persone, anche se costoro spesso non ne sono consapevoli. Sì, perché lo sperimento di continuo con me stessa. L'argomento non è semplice, ma ho promesso che ne avrei parlato.
Ogni volta che qualcuno mi infastidisce per il suo comportamento, io faccio così: mi metto a cercare un personaggio simile dentro di me (anche e soprattutto se sul momento sento che, con quel disgraziato, io non ho proprio nulla in comune)!
In pratica: se mi infastidisce l'arroganza di una persona, comincio a cercare dentro di me un personaggio arrogante. Se a infastidirmi è qualcuno che è invadente, cerco dentro di me quella stessa peculiarità. Se invece mi irrita qualcuno per il suo comportamento abbandonico, mi metto alla ricerca di quella me che ha l'energia dell'abbandono. E così via.
Certo, non sempre è facile: a volte è ben mimetizzato dietro maschere dalla valenza opposta, oppure sotto una coltre di pensieri ricorsivi, quelli che cercano il perché di ogni emozione e lo cercano nel passato e all'esterno... ma ogni volta lo trovo, eccome se lo trovo. Il "personaggio" si era solo messo in un angolino stretto e buio della coscienza, ma era lì, in piena azione, a mia insaputa poiché lo avevo rinnegato.
La vita è davvero buffa nei suoi meccanismi. Quando non vogliamo vedere qualcosa, ce lo ripropone in mille salse... Io non credo alla sfiga, agli incidenti che si assomigliano, agli abbandoni che si ripetono, ai nemici che si piazzano sempre allo stesso modo sul nostro cammino, come se non avessero di meglio da fare. Credo piuttosto che ci vengono offerte continue possibilità per perdonare i personaggi che abbiamo dentro, ma che noi "proiettiamo" fuori.
Se qualcosa di noi non ci piace, non ci piacerà neanche negli altri. Ma degli altri ci accorgiamo spesso, di noi stessi un po' meno. Ecco, fa così la proiezione.
Possiamo continuare a raccontarcela e trovare centinaia di spiegazioni razionali sul perché qualcuno "meriti" il nostro giudizio e il nostro disprezzo, e dirci che noi non siamo come lui né faremo mai quello che lui fa. Oppure possiamo cogliere l'occasione del "fastidio" che quel qualcuno ci suscita e metterci alla ricerca di quello stesso personaggio - di quella energia, di quella qualità... arrogante, superficiale, manipolatoria, seduttiva, testarda, ecc... - dentro noi stessi, lì da qualche parte nell'inaspettato e assai vasto mondo interiore.
Per "fastidio" non intendo delusione, tristezza, amarezza... ma intendo proprio quella sensazione di irritazione e intolleranza che si attiva quando qualcuno si comporta "male" con noi o davanti ai nostri occhi, e che muove spesso un certo rimuginio o chiacchiericcio della mente che ripete "lui... lui... lui...", puntando il dito.
Se ricerchiamo con onestà, a un certo punto scorgeremo, anche solo per un breve istante, ma non senza sconcerto, che colui che giudichiamo si trova al nostro interno.
E quando ci vediamo, quando intravediamo un nostro lato oscuro, non possiamo più raccontarcela: non siamo "perfetti" o "buoni" come credevamo... non siamo immuni da certi pensieri, da certa rabbia, da certa manipolazione.
Forse che, allora, siamo in realtà orribili? Non proprio; il punto è che in qualche modo, in un tempo che fu, abbiamo giudicato come orribili certe parti di noi - certe energie - e quindi le abbiamo soffocate, rinnegate, e rinnegandole abbiamo creato delle frammentazioni nel nostro essere...
Accorgendoci di queste parti, smettendo di giudicarle e di reprimerle, e accettandole con giocosa compassione, scopriremo che in fondo non è male essere nella verità di se stessi e che questo libera nuova, creativa energia... Scopriremo che gli altri possono smettere di irritarci e di consumare la nostra attenzione... Scopriremo che nuovi alleati possono manifestarsi, perché è così che accade: le alleanze interiori evocano sempre, per risonanza, quelle esteriori.
Liberare dal giudizio le nostre "parti ombra", e accoglierle con coraggio e visione, ci libera dalla necessità di avere ragione, dalla sofferenza per le ingiustizie subite, dal dolore provato per non essere stati visti... Ci aiuta a lasciar andare, a perdonare, tutto quel che è stato.
Quando non giudichiamo più ciò che reputiamo oscuro e sbagliato in noi, automaticamente non lo giudicheremo negli altri. E non giudicandolo, non ne saremo più infastiditi.
Significa allora che impareremo ad amare tutto e tutti? Io direi che significa piuttosto che ameremo un po' di più, a partire da noi stessi. E mi pare già una gran cosa. Significa che sceglieremo più attentamente i luoghi dove mettere radici e quelli da abbandonare senza indugio, quelli per cui combattere e quelli per cui mollare la presa. Significa che faremo scelte più sane, mettendole al centro della nostra attenzione. Significa che ogni ostacolo ci parlerà non solo di frustrazioni, ma anche di occasioni. Significa che ombre e luci saranno da noi accolte in modo più saggio... e che sapremo danzare con entrambe.
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